[ Artemide, Roma 2016 ]
Non sono numerosissimi i critici e gli studiosi di letteratura propensi a riflettere sugli statuti della propria disciplina, sull’efficacia degli strumenti di lavoro che utilizzano, sulla funzione sistematizzante (ovvero ingabbiante) di alcune macro-categorie storico-letterarie e storico-critiche. Eppure, se l’invito ai letterati a prevedere una verifica periodica dell’attrezzatura del mestiere, nonché dei poteri che all’esercizio del mestiere stesso sovraintendono (e che ogni interprete a sua volta comunque esercita sui suoi destinatari), dovrebbe valere comunque e in ogni tempo, la sua urgente necessità è segnalata dalla condizione attuale delle sorti degli studi letterari, nel contesto accademico come nel dibattito pubblico. L’assunto vale ancora di più quando si tratta di studiosi che sono anche docenti (come nella maggior parte dei casi) e che dunque si confrontano quotidianamente con un pubblico di lettori (prima ancora che studenti) al quale offrire, idealmente ma soprattutto concretamente, gli esiti e i calcoli stessi di questa verifica.
Una tale premessa appare opportuna dovendo dar conto di Naturalismo e modernismo. Zola, Verga e la poetica dell’insignificante di Pierluigi Pellini. Il volume, come segnala il sottotitolo, raccoglie i saggi più recenti del comparatista sugli autori che sono stati oggetto dei suoi studi più che decennali, appunto Zola (del quale Pellini ha curato, per i «Meridiani» Mondadori, i tre volumi dei Romanzi) e Verga (al quale, tra le altre cose, ha dedicato il profilo critico Verga, per la serie di «Profili di storia letteraria» del Mulino): a ciascuno di essi è intitolata una sezione del libro, che si completa con una terza parte teorica: «”Cerveaux de fruiter”, “enculers de mouches”. Per una genealogia del modernismo». Ma densi di spunti teorici sono tutti i capitoli: come si diceva, il critico ha voluto assemblare, con opportuna coerenza, testi di carattere prevalentemente metodologico ed epistemologico, a partire dal lavoro condotto su alcune opere, o, più precisamente, rivisitando e ripensando quel lavoro. Esemplari, in questo senso, sono i saggi «Tradurre l’Assommoir» (dovizioso di incisive, raffinate e talvolta polemiche note di traduttologia) e «Commentare Germinal». Non meno fruttuoso è l’approccio ermeneutico che indaga il Verga novelliere («Verga e le forme della novella moderna»): a partire da una disamina su un genere di non facile descrizione come la novella moderna, viene messo a sistema il corpus dello scrittore catanese con la coeva produzione europea (è qui che si scova il senso di quella «poetica dell’insignificante» citata nel sottotitolo – muovendo da una lettura illuminante di Tentazione! – e si pondera l’autorevole paternità del Verga novelliere rispetto alla sua discendenza italiana moderna); riscontro che vale altresì per il capitolo dedicato a Mastro-don Gesualdo.
In questo senso, l’intero volume va letto anche come una scrupolosissima e non meno virtuosa dimostrazione degli assunti che si leggono nella corposa Introduzione (anch’essa, in origine, un saggio autonomo, destinato alla Letteratura europea curata da Boitani e Fusillo): una verifica dei poteri, appunto (che il saggio genealogico conclusivo suggella), nella quale vengono liquidati una volta di più (ma con sicura autorevolezza) i compartimenti asfittici e gli schedoni storiografico-letterari con i quali si è preteso di scandire il racconto della letteratura. Romanticismo, Realismo, Naturalismo, Simbolismo, Decadentismo e categorie affini vanno profondamente ripensati in una prospettiva di lunga durata. E la stessa nozione di Modernismo, paradigma comunque di indubbia efficacia, va convalidata in una traiettoria europea che parta da Flaubert e Baudelaire e si attesti alle soglie del postmoderno.
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